La ripartenza del federalismo italiano

fp 3-13Il Ministro per gli affari regionali Delrio è intervenuto ieri in commissione affari costituzionali al Senato, presentando le linee programmatiche che il governo intende seguire in tema di rapporti con Regioni e enti locali.

Oltre a mostrare competenza e interesse per il tema – cosa tutt’altro che scontata, specie in considerazione di quanto fatto da molti suoi predecessori – il ministro ha indicato una nuova via per far ripartire i rapporti tra i livelli di governo in Italia. Il punto centrale e innovativo sta soprattutto nel metodo, con l’intenzione di fare dello Stato un facilitatore più che un decisore, valorizzando il ruolo delle autonomie e liberandone il potenziale. Non si dovrebbe quindi più assistere a decisioni unilaterali imposte dall’alto, ma ad un processo collaborativo che coinvolga tutti i livelli di governo nelle decisioni strategiche, anche al fine di ridurre il contenzioso costituzionale.

Positiva appare anche l’intenzione di portare a compimento il cd. “federalismo fiscale”, responsabilizzando il sistema delle autonomie, e di evitare riforme a singhiozzo e asistematiche come si è fatto in passato. Per questo l’azione di valorizzazione dei territori deve andare di pari passo con una riforma costituzionale complessiva che chiarisca finalmente il ruolo di regioni e enti locali nell’architettura costituzionale italiana.

Sotto questo profilo appare tuttavia necessario un ulteriore sforzo di approfondimento. Sembra ancora mancare un disegno complessivo del sistema territoriale italiano: a cosa servono le regioni e gli enti locali? Chi deve fare cosa? C’è la convinzione che le regioni siano qualcosa di strutturalmente diverso da comuni e enti locali, o si continuerà a mettere tutto nello stesso calderone, degradando le regioni a meri organi amministrativi e caricando i comuni di responsabilità che non possono assumersi? Come si collegherà la valorizzazione dell’autonomia con la rappresentanza territoriale al centro, dunque con le varie (e talvolta bizzarre) proposte di fare del Senato una “Camera delle Regioni” (pessima espressione che sottintende una concezione non chiara della rappresentanza territoriale)? In che misura si riconoscerà il valore della differenziazione, non solo tra regioni ordinarie e speciali, ma anche tra le regioni ordinarie e tra le regioni speciali, tenendo conto della grande diversità che caratterizza i territori d’Italia?

Il dialogo tra i livelli di governo sembra dunque ripartire con le migliori intenzioni e seguendo il metodo giusto. Molte domande attendono però ancora una risposta. Per trovare questa risposta sarà importante anche il contributo che all’azione del governo potrà venire dal Parlamento e ancor più dalle Regioni e dai Comuni, perché anche a livello politico si comprenda che più autonomia è la soluzione e non il problema.

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