(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 26 giugno 2014)
Ci sono episodi che raccontano lo stato di un Paese molto più di dotti trattati. Martedì 24 giugno, Senato della Repubblica. Alle 16.30 l’ordine del giorno prevede comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista del semestre di presidenza italiana dell’Unione europea.
Un appuntamento piuttosto importante, sembrerebbe. Peccato che le stesse comunicazioni fossero già state rese in mattinata alla Camera. Niente di nuovo, solo l’ennesima ripetizione del rituale del bicameralismo perfetto, che ha motivazioni più nobili di quanto spesso si sostiene nel banale discorso politico-mediatico, ma che in certe occasioni è ridicolo. Questa è una di quelle occasioni. Stesso discorso ripetuto due volte, stessi interventi dei parlamentari, stesse repliche del governo, votazione della stessa risoluzione di maggioranza, che si riporta integralmente per poterne apprezzare la pregnanza: “il Senato, udite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno e sulle linee programmatiche del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea, le approva”. Diamine, questo è un sistema parlamentare…
Fosse solo per questo, sarebbe solo una nuova puntata di un sistema ingessato e disperatamente bisognoso di riforme, andato in scena ormai troppe volte.
Ma in questo caso c’è molto di più. La coincidenza temporale con la partita della nazionale di calcio. E qui si innesca la spirale perversa tra politica e sistema mediatico, uno dei fattori che rende culturalmente irriformabile questo Paese. Capita a molti di dovere (e ad alcuni anche di volere) lavorare durante le partite, come peraltro durante tanti altri eventi più interessanti, ma di solito non fa notizia. La politica invece, alla disperata e infantile ricerca di legittimazione, trascina stancamente ed inutilmente il dibattito, al solo scopo di coprire tutta la durata dell’incontro calcistico, per dimostrare che i parlamentari lavorano sempre, indefessi, per il bene del Paese. Per qualcuno si tratta dell’occasione per soddisfare il bisogno della dose quotidiana di protagonismo: l’importante è avere il microfono per cinque minuti. Qualcun altro, più simpaticamente, ne approfitta per fare dell’ironia, affermando, a proposito della proposta di allentamento del patto di stabilità, che “la partita è appena iniziata ed è molto difficile” (sic). Il dibattito non è ascoltato da nessuno, naturalmente, perché ancora più deprimente del solito: non essendoci nulla da dire, il tasso di retorica è inversamente proporzionale alla qualità degli interventi.
E qui interviene il sistema mediatico. Per assistere al dibattito, ha chiesto l’accredito un numero altissimo di fotografi, e a quanto risulta le richieste erano persino superiori ai posti disponibili. Perché un simile affollamento per un dibattito inutile? Lo scopo è solo uno: fotografare i banchi vuoti di chi ha preferito la partita alle storiche dichiarazioni dei colleghi o – grazie a teleobiettivi grandi quanto obici da guerra – gli schermi dei portatili dei senatori per sgamare eventuali furtivi collegamenti con i siti di informazione per sbirciare il risultato della partita. E lanciare dunque il messaggio dell’assenteismo e del disinteresse, screditando una classe politica che si scredita già benissimo anche da sola ma soprattutto svilendo le istituzioni che invece per funzionare necessitano di un minimo di fiducia. Senza la quale il Paese si riduce ad una lotta tra corporazioni e si abbruttisce nella difesa dei propri privilegi accusando quelli degli altri, come fa ogni casta contro tutte le altre. Bellum omnium contra omnes.
Se ne esce? Difficile. L’impressione è che questo reciproco contagio sia difficilmente reversibile. Le riforme istituzionali certo possono aiutare, e almeno eviteranno la ripetizione del teatrino in molte occasioni – anche se non in tutte, e proprio in materia europea il Parlamento avrà modo anche in futuro di mostrare la sua inutilità in entrambe le Camere. Ma il problema è culturale, non istituzionale. Ed è per questo molto più difficile da estirpare.
Certo, se il Senato voleva farsi apprezzare da un Presidente del Consiglio che non lo ama, questa è stata qualcosa di più di un’occasione mancata. E’ stata una pietra tombale. Calata sull’istituzione non per le sofisticate ragioni costituzionali che spingerebbero per la sua riforma, ma per una partita di calcio. Per di più, il Presidente ha assistito (non al dibattito, e non si è perso nulla, ma) alla sconfitta dell’Italia guardando la partita in una saletta del Senato, e sappiamo che questo è un Paese superstizioso…
Sforzandosi un po’, tuttavia, anche nel penoso spettacolo del 24 giugno si può intravvedere un piccolo, tenue segnale di speranza: durante il secondo tempo della partita, sui banchi del governo c’erano solo donne.