Much ado about nothing. Or not?

(pubblicato su http://www.salto.bz/article/30102014/much-ado-about-nothing-or-not il 30 ottobre 2014)

Un infelice obiter dictum del ministro Boschi suscita reazioni altrettanto infelici. Che fanno capire molte cose della comunicazione politica.

Il fatto: in una manifestazione di partito, il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il parlamento afferma di essere a favore di un superamento delle autonomie speciali. Applausi. Poi chiarisce che comunque la questione non è nei programmi del governo.

La reazione: nei nostri territori si solleva un vespaio. I media (alcuni più di altri) ne fanno un caso. I politici si attivano e fanno a gara a chi reagisce più efficacemente, ricordando pratiche da caserma che si pensavano estinte con la fine della leva obbligatoria, e invece si sono solo spostate sui mezzi di comunicazione: sms, telefonate al ministro e al suo capo (che non dovrebbe essere tale in base alla costituzione, ma ci curiamo ancora di questi dettagli?), forse anche al Presidente della Repubblica, al Papa e alla CIA. I meno dotati (di contatti) devono accontentarsi di esternare attraverso l’immancabile comunicato stampa.

Lo stupore parte prima: ma davvero tutti si stupiscono di queste dichiarazioni? Dove vivono? Non serve andare in Parlamento o nei ministeri. Basta una gita domenicale a sud di Borghetto per sapere qual è il clima ormai diffuso in Italia nei confronti delle autonomie speciali. Un clima trasversale, che accomuna tutte le forze politiche nazionali.

Lo stupore parte seconda: qual è il messaggio politico che va tratto dalla vicenda? Che il Ministro sia una centralista o che indipendentemente dalle sue opinioni il ripensamento delle regioni speciali non è nell’agenda del suo governo? Veri entrambi. Ma ovviamente il messaggio che passa è il primo, non il secondo.

L’andazzo parte prima: l’affermazione – a mio avviso banale e superficiale, prima che improvvida, ma tutt’altro che sorprendente e comunque vanificata dalla seconda parte del ragionamento, ma su questa valga quanto detto sopra – è stata fatta in una kermesse di partito, non in Parlamento. In quei contesti si dicono le cose che fanno acquistare consenso. E oggi chiunque (al di fuori di Alto Adige, Trentino e Valle d’Aosta) dica che le regioni (tutte, e vieppiù quelle speciali) sono inutili, costose, sprecone, corrotte, ecc. acquista consenso. Punto. Questo è il quadro. Che vale ben oltre la questione regionale. Mutatis mutandis la stessa logica vale per tutti i settori della società organizzata. “Loro” (non importa chi, basta che sia qualcun altro) sprecano soldi, sono corrotti, ecc. Qualcuno ricorda che dopo i Mondiali di calcio il commissario tecnico della nazionale si dimise non per gli scarsi risultati sportivi, ma perché accusato di rubare lo stipendio?

L’andazzo parte seconda: l’uscita è strumentalizzata (sul piano locale) per fini politici sia dagli avversari del ministro e dei suoi alleati, sia da alcuni organi di informazione, che ne traggono linfa per la loro linea politica (pardon: editoriale). E fin qui sarebbe ingenuo sorprendersi. Ma fa riflettere che tutti (me compreso) ci prestiamo a commentare una non-notizia. Magari per semplice cortesia, in fondo a domanda è buona regola rispondere. Magari per debolezza, perché nessuno ha più la forza di opporre argomenti a slogan. Vince comunque lo slogan: che sia la banalizzazione delle autonomie speciali o la strumentalizzazione di questa banalizzazione. L’embolo comunicativo è partito, e di questo tema si deve discutere. Versando le proprie idee (o i propri slogan) nel contenitore predeterminato, tingendolo di colori e sfumature diverse ma senza poterne contestare la forma. Si riempiono così pagine di giornali e servizi di telegiornali di tanti contenitori, tutti uguali e di colori diversi. Inutili quanto i soprammobili.

Il seguito: grandi riflessioni sul futuro. Ci possiamo fidare di questo governo? Perché non ci amano? E’ giusto cercare alleanze o non conviene affermare che la specialità è solo nostra perché le minoranze, l’ingiustizia storica, l’ancoraggio internazionale, la diversità etnica, magari razziale, e via su questa china? Come se alcune regioni non avessero già rinunciato da tempo alla specialità? Qualcuno ricorda iniziative siciliane per valorizzare la propria autonomia? Forse la sagra del pistacchio, o quella della seppia di Donnalucata (giuro, esiste)?

La disillusione: esiste un luogo per riflettere sull’assetto territoriale di questo Paese e delle sue articolazioni? Dove si può fare un approfondimento informato, e dove si presentano le conclusioni? Chi decide? Il governo, pur non spettandogli la politica costituzionale, il parlamento (che lavora a ritmi di fabbrica, senza alcuna capacità di analisi e nemmeno più di sintesi), le singole regioni? Un referendum? La rete? Il futuro senato che dovrebbe portare le regioni nel processo decisionale centrale ma non avrà il potere di decidere niente? Nulla di tutto questo. Finirà nel solito fuoco di paglia, tra pochi giorni subentrerà il prossimo tema superficiale, e poi il successivo. I contenitori saranno sempre predeterminati. Le reazioni estemporanee, banali e provinciali.

L’outing: per quel che vale, ho approfittato dell’occasione per NON contattare il ministro né nessun altro. Spero che lo apprezzerà. Sono certo che non se ne accorgerà. Anzi, come usa dire dalle sue parti, se ne farà una ragione.

One thought on “Much ado about nothing. Or not?

  1. Purtroppo è verissimo. Manca una sede dove discutere, analizzare e programmare, ma manca soprattutto un’idea coerente e condivisa dell’organizzazione territoriale. E manca la risposta/richiesta “dal basso”, presupposto per qualsiasi autonomia sostenibile (self-management!). Davvero “tanto rumore per nulla”.

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