(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 6 novembre 2014)
Tra Juncker e Renzi sono volati gli stracci. Ma al di là degli aspetti politici e mediatici – pur non trascurabili, visto che le dichiarazioni sono giocate anche sul piano del consenso – il duro scontro verbale tra il neopresidente della Commissione europea e il Presidente del Consiglio italiano svela un serio conflitto ideologico sulla concezione della democrazia. Il problema è sul tappeto da tempo, perché in tutto il mondo “democratico” emergono con chiarezza i limiti dei processi decisionali tradizionali, la crisi di legittimazione della rappresentanza, la necessità di introdurre correttivi ma anche la loro ancora scarsa elaborazione.
Semplificando un po’, le risposte sono state finora principalmente di due tipi. La prima, sposata con forza dal Presidente del Consiglio italiano, è quella del “primato della politica”. La politica decide, le strutture burocratiche eseguono, i “tecnici” trovano il modo di far funzionare la cosa. “Politica” è intesa come rappresentanza elettiva basata sul consenso, con la netta prevalenza della dimensione nazionale rispetto a quella subnazionale (vedi la considerazione delle regioni) e sovra-nazionale: l’Unione europea è quindi vista sì come un interlocutore fondamentale, ma pur sempre come uno strumento di espressione della sovranità degli stati. Sono gli stati e dunque i governi gli attori principali in quanto titolari del consenso politico nazionale basato sulla logica della maggioranza, e il modo più efficiente di esercizio della sovranità statale in determinate materie, nelle quali la dimensione nazionale è insufficiente, è quello della condivisione attraverso forme di integrazione come l’Unione europea. Che è dunque uno strumento a servizio degli stati.
La seconda, incarnata nella risposta del Presidente della Commissione europea, è quella “tecnocratica”, per quanto anch’essa dotata di una legittimazione politica. Le incongruenze delle politiche nazionali (che esistono in tutti i Paesi) vanno arginate tramite regole elaborate secondo logiche non politiche ma “tecniche”. Queste (rappresentate dalla Commissione) sono poi eventualmente bilanciate da passaggi politici (il ruolo del Parlamento europeo, del Consiglio europeo e dei ministri, eventualmente i Parlamenti nazionali) ma restano fondate sulla composizione razionale degli interessi, non su quella politica.
Una terza via sta diventando progressivamente più popolare – anche se non ha ancora una forza paragonabile alle prime due: la decisione diretta, anche attraverso le potenzialità della rete.
Tendenzialmente tutte queste impostazioni si fondano su assiomi ideologici. La prima sulla inevitabile prevalenza della politica come processo rappresentativo e di mediazione di interessi, fondato sul sistema “meno imperfetto” che si sia finora inventato: la democrazia rappresentativa fondata su elezioni uguali, libere e segrete. La seconda sulla maggiore razionalità della scelta tecnica che, scevra da valutazioni politiche, trae la sua forza sistemica e la sua legittimazione dalla qualità intrinseca della decisione. La terza sull’assunto della sovranità popolare, sul fatto che siccome il popolo è il “datore di lavoro” di politici e tecnici, abbia per questo sempre ragione.
Ovviamente tutte queste impostazioni contengono una parte di verità. Ma contengono anche problemi seri. Le logiche politiche sono spesso insensate sotto il profilo della sostenibilità tecnica, e la politica è quella cosa che fa stare in piedi un ponte anche violando tutte le leggi della fisica. Ma ovviamente prima o poi quel ponte crolla. La scelta tecnica è a sua volta spesso ideologica, specie in ambiti fortemente politici come l’economia. E’ di ieri l’ammissione del Fondo monetario internazionale di avere sbagliato a raccomandare politiche di austerità nel picco della crisi tra il 2010 e il 2011. Milioni di disoccupati, drammi familiari, interi Paesi in bancarotta e… “ci siamo sbagliati”. Alla faccia… Infine la decisione popolare, che pure prende forza quanto più la perdono la politica e la tecnocrazia, è quella che da sempre ha portato il popolo a liberare Barabba e condannare Gesù…
Semplificazioni a parte, il punto sta proprio qui. Non esistono strumenti decisionali perfetti e infallibili. E guai a pensare che la risposta possa essere univoca. La via d’uscita è inevitabilmente nella commistione di questi metodi, che devono convivere tra loro e con altri e nuovi strumenti. Tra questi in particolare la partecipazione, che consente di supportare il processo politico attraverso il coinvolgimento preventivo degli interessati (una forma vicina alla democrazia diretta) e la discussione delle questioni tecniche (qualcosa di vicino alla decisione tecnocratica). Insomma, scontri verbali a parte, la vera questione è rassegnarsi ad accettare che le decisioni nel mondo contemporaneo diventano più complesse, non più semplici, e che non possono esistere pretese di infallibilità né di esclusività.
Noioso? Sì. Nei migliori film hollywoodiani si direbbe che “è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo”. Difficile condensare queste considerazioni in un articolo di giornale e impossibile farlo in un tweet. Ma se non ci si interroga e non si lavora su questo piano, ci si dovrà accontentare di sterili polemiche e soprattutto rassegnarsi a non vedere crescere la qualità della democrazia. Sarà noioso ma è un problemino non da poco.
Gentile Senatore,
da un tecnico come lei mi sarei aspettato una critica un po’ più ragionata e ragionevole delle decisioni popolari che non la patetica storiella di Barabba e Gesù.
Fare un parallelo tra quell’esempio e le decisioni popolare è una autentica bestialità, dal punto di vista strettamente tecnico.
Mi limito a far osservare quelle più evidenti, non necessariamente in ordine di importanza. Nel farlo speri emerga chiaramente quanto sia irragionevole, e intrisecamente fazioso, utilizzare questi paralleli.
Preliminarmente andrebbe osservato che ci troviamo di fronte più ad un processo penale che non ad una scelta legislativa, e mi pare siano questioni affatto differenti, ma facciamo pure finta si possa fare un parallelo tra voto popolare su iniziative legislative e la vicenda di Gesù e Pilato.
Intanto va evidenziata la differenza tra un iniziativa popolare e un plebiscito.
Risulta del tutto evidente l’importanza della domanda che viene fatta al corpo elettorale, in particolare la sua influenza sul risultato.
Se invece che far decidere tra un ladruncolo e un sovvertitore dell’ordine sociale (ci tornerò dopo) avessero fatto scegliere tra un feroce assassino e Gesù siamo sicuri che il risultato sarebbe stato il medesimo?
Nei paesi dove la democrazia diretta funziona bene (senza essere perfetta, come ogni costruzione umana, ma semplicemente comparativamente migliore), ai rappresentato è VIETATO appellarsi al corpo elettorale.
I rappresentanti devono prendere le decisioni, sarà poi il popolo eventualmente a rigettarle (tramite referendum obbligatorio o facoltativo) o a proporre e votare soluzioni diverse (tramite l’iniziativa).
Altro punto del tutto evidente è che chi votò non fu l’intero popolo di Israele, ma le stesse persone che avevano portato Gesù di fronte a Pilato per farlo condannare. Diciamo che si trattava di un gruppo ristretto e con un forte pregiudizio, per usare un eufemismo.
Quelli avevano portato Gesù di fronte a Pilato perchè lo condannasse. Di Barabba non poteva interessare loro di meno.
Credo non sfigga nemmeno a lei che se si preseleziona chi può votare in funzione della domanda si ha una evidente distorsione del risultato.
Terzo punto quello della decisione informata. Non mi pare di ricordare nella storia alcun dibattito.
Infine viene anche fatto un errore, se non una disonestà intellettuale, quando si paragona una decisione del passato con la decisione che potremmo prendere noi oggi nelle medesime circostanze.
Dal punto di vista sociale e culturale i 2000 anni non sono certo passati senza modificare i nostri valori.
In quei tempi un valore ritenuto (quasi) universalmente accettato era la prevalenza della società (clan, tribù) rispetto al singolo.
Chiunque mettesse in discussione la coesione della società, che era anche data dal comune credo religioso, tanto più nella società ebraica che nella propria religione fondava la sua essenza, era pericoloso molto più di un ladro o di un assassino.
Un ladro metteva in pericolo le proprietà di qualcuno, e un assassino poteva al più essere pericoloso per chi lo incontrava. Ma mettere in discussione i valori e le credenze su cui la società era fondata voleva dire mettere in pericolo l’intera società e alla fine la vita di tutti.
Rispetto ai valori sociali del tempo Gesù era più pericoloso di Barabba.
Un ultima considerazione invece sulla correttezza delle scelte. Il popolo può sbagliare. Ma possono sbagliare anche i rappresentanti.
Francamente trovo che evidenziare il primo punto senza tener conto del secondo sia sempre intellettualmente disonesto.
Inoltre, conoscendo come si svolge il procedimento legislativo tanto localmente che in regione, devo dire che quanto sperava John Stuart Mill, ossia che i rappresentanti avrebbero avuto il tempo e la capacità di approfondire i temi, di dibatterli con altri che erano altrettanto informati, e trovare così una decisione condivisa, è largamente un mito.
Raramente coloro che ci rappresentano capiscono cosa stanno votando (e spesso se lo sanno è perchè ne hanno un interesse personale diretto, vedi vitalizi) e sovente nemmeno fanno lo sforzo di approfondire. Tanto c’è qualcun’altro che ti dice come votare.
In ogni caso il popolo può certamente sbagliare, ma poi almeno paga direttamente i suoi errori. Per i rappresentanti i legami tra la decisione e le sue conseguenze sono assai meno forti. E questo ha delle influenze sul processo decisionale.
Trovo sia anche sbagliato pensare che vi possa essere una sorta di dittatura della maggioranza. Più che altro perchè sui vari temi ci sono maggioranze diverse. Ogniuno si troverà ad essere sia maggioranza che minoranza. E prendendo coscenza di questo si arriva anche a riconoscere che cercare di vincere sui propri temi senza tenere in considerazione le aspirazioni delle minoranze è controproducente, visto che ciascuno è potenzialmente sia “vittima” che “carnefice”.