Sotto un velo di ignoranza

alto adige(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 18 marzo 2015)

Nel 2003 il Tribunale costituzionale federale tedesco aveva stabilito che i Länder potevano proibire alle insegnanti musulmane di indossare il velo in classe. La neutralità dello Stato in materia religiosa non doveva ritenersi violata da regole restrittive, qualora i legislatori regionali avessero ritenuto che indossare il velo fosse di per sé da considerare una forma di propaganda religiosa. A seguito di quella sentenza la metà dei Länder tedeschi (specie quelli sud-occidentali) ha approvato leggi restrittive della libertà di portare il velo, mentre l’altra metà (le regioni settentrionali e quelle dell’ex Germania est) ha continuato ad ammetterlo.

La scorsa settimana i giudici costituzionali federali sono tornati su un caso analogo. Dovevano decidere della costituzionalità della legge del Nordreno-Westfalia che proibiva di indossare il velo durante le lezioni (tranne che in quelle di religione islamica). Ed hanno ribaltato il principio affermato quasi 12 anni fa. Il divieto di indossare il velo nella scuola pubblica non è dunque (più) compatibile con il principio costituzionale di neutralità religiosa. Perché altrimenti – e qui sta la differenza rispetto alla sentenza del 2003 – bisognerebbe coerentemente proibire anche di indossare crocifissi, e vieppiù di esporli nelle aule, come alcuni Länder consentono in determinate circostanze di fare. La società è plurale, di questo pluralismo fa parte anche l’islam, un simbolo non significa automaticamente propaganda: questo il ragionamento dei giudici di Karlsruhe.

La vicenda induce a riflettere sotto diversi profili.

Il primo è che appare difficile se non impossibile sostenere sul piano giuridico la compatibilità tra la neutralità religiosa dello stato e il trattamento preferenziale di alcune confessioni rispetto ad altre. Questo era il punto debole della pronuncia del 2003 che è stato ora superato. Il che non significa dover accettare un approccio indifferenziato: la Baviera consente di esporre i crocifissi nelle aule, a condizione che non vi sia richiesta contraria da parte di una minoranza qualificata di studenti o genitori. E parimenti, così come diverse corti (anche italiane ed europee) hanno sostenuto che la sola presenza del crocifisso come arredo in una classe non significa automaticamente indottrinamento della religione cattolica, allo stesso modo indossare un velo non significa fare proselitismo per l’islam. La neutralità assoluta, cioè la proibizione di ogni simbolo “visibile” di appartenenza religiosa (concetto peraltro sempre interpretabile: lo è il turbante sikh? E un orecchino con la croce?), secondo l’impostazione francese, è certamente più semplice, ma forse meno adatta a cogliere la complessità della società contemporanea. Da questa sentenza si partirà per sviluppare nuovi modelli di integrazione.

Vi è poi il piano sociale. Dal 2003 non è cambiato il testo della costituzione federale tedesca. È cambiata però, e molto, la società, che è diventata più matura rispetto al fenomeno della presenza islamica nel Paese. Per alcuni versi il “problema” è più acuto, se si pensa alle manifestazioni del PEGIDA (peraltro in fase assai calante dopo un fuoco di paglia di alcuni mesi) e alla radicalizzazione del dibattito politico sul punto. Ma è interessante e forse sorprendente scoprire che secondo i sondaggi la stragrande maggioranza dei giovani (71%) condivide la sentenza, che lascia invece più scettici gli anziani (52% di disapprovazione). Il che pare significare che nelle nuove generazioni la differenza anche religiosa è ampiamente accettata.

Infine, l’importanza delle sfumature. Come nel 2003, anche ora il Tribunale riconosce un margine di apprezzamento a ciascun Land nella disciplina della materia. Non si ammette una proibizione generalizzata e indifferenziata del velo, ma divieti ad hoc sono possibili in casi di “concreto pericolo per la pace scolastica o per la neutralità dello stato”. Parole sibilline, che sembrano volte a legittimare il divieto sia in caso di atteggiamenti potenzialmente propagandistici dell’insegnante, sia in caso di forti proteste da parte di alunni e genitori. Va anche detto che in quella buona metà di Germania in cui il divieto non ha mai operato non si è posto mai alcun problema.

Staremo a vedere. Sperando che anche a sud delle Alpi resta si possa iniziare a squarciare il “velo di ignoranza” che avvolge i dibattiti sul tema della gestione della diversità e del pluralismo, e a ragionare in modo pacato e informato su questi temi. Pia illusione?

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