(pubblicato su www.salto.bz/article/23062015/esiste-un-diritto-di-accesso-internet il 23 giugno 2015)
Per guardare oltre la vicenda Brennercom
È un peccato che le questioni più interessanti si riducano spesso a conflitti di potere o, in realtà troppo piccole come la nostra, perfino a questioni personali. Se alziamo lo sguardo dalla punta del dito della vicenda Brennercom, appare la luna della questione di fondo: esiste un diritto soggettivo di accesso a internet (più specificamente alla banda larga)? Se non esiste, va garantito? Con quale fonte? E chi lo deve proteggere?
Il dibattito è attualissimo in tanti paesi e a livello internazionale. Nel 2011 se ne sono occupati due importanti rapporti, rispettivamente dell’ONU e dell’OSCE, che indicano chiaramente che gli stati hanno la responsabilità di garantire l’accesso a internet: come corollario del diritto di partecipazione in generale, ognuno ha il diritto di partecipare alla società dell’informazione. In Europa la Grecia è stato il primo Paese a costituzionalizzare l’accesso a internet, mentre la Finlandia, l’Estonia e la Spagna lo hanno disciplinato a livello di legge ordinaria, prevedendo anche i livelli minimi di accesso funzionale (un megabit al secondo in Finlandia, ad esempio). In molti altri Paesi, tra cui la Francia, è stata la giurisprudenza a stabilire l’esistenza di un diritto fondamentale di accesso a internet. In altri ancora, la questione è all’esame del Parlamento. E’ il caso della Germania e dell’Italia. Nel Parlamento romano è in discussione la proposta di introdurre in costituzione il diritto di accesso a internet, ed è altamente probabile che si giunga ad una suo codificazione, pur restando da chiarire alcuni aspetti. Tra questi in particolare l’opportunità di una previsione costituzionale o legislativa e, qualora si optasse per l’inserimento in costituzione, se ancorarlo alla libertà di manifestazione del pensiero e di impartire e ricevere informazione (art. 21) o come diritto prestazionale (la proposta che pare avere più consenso è attualmente quella di introdurre un apposito nuovo articolo 34-bis nella costituzione).
Il punto centrale è la previsione di un obbligo per il potere pubblico di garantire tale diritto attraverso la fornitura della banda larga e di un livello minimo di accesso. Ci sono evidentemente della difficoltà pratiche che sussistono (a partire dalla difficile raggiungibilità di alcuni territori) che rischiano di compromettere l’effettività del diritto, e va dunque valutato con attenzione il rischio di mettere il carro davanti ai buoi e di prevedere un diritto che sia più ideologico che operativo. La tendenza è tuttavia nettamente segnata, ed è solo questione di tempo (e di formulazione normativa) perché il diritto soggettivo alla prestazione della fornitura dell’accesso a internet (dunque azionabile nei confronti del potere pubblico) trovi il suo ingresso formale nell’ordinamento italiano. Anche perché non va dimenticato che ciò è in parte già avvenuto attraverso la legislazione regionale, ad esempio in Umbria, dove il legislatore è già intervenuto sul punto con una formulazione che assai probabilmente fungerà da modello per il legislatore nazionale. La legge regionale n. 31/2013 stabilisce infatti all’art. 1 che “La Regione riconosce il diritto di tutti i cittadini di accedere a internet quale fondamentale strumento di sviluppo umano e di crescita economica e sociale e promuove lo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione al fine di assicurare la partecipazione attiva alla vita della comunità digitale”.
Uno spunto anche per il nostro Consiglio provinciale? Giusto per non farsi anticipare ancora una volta dal legislatore nazionale (o europeo: anche su quel fronte le cose stanno evolvendo molto) e magari lamentare ex post il poco rispetto per l’autonomia.