(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 9 luglio 2016 con il titolo “Gli obiettivi. Primo passo dell’analisi”)
In autunno (la data non è ancora fissata) i cittadini italiani maggiorenni saranno chiamati al voto per il referendum confermativo sulla riforma della costituzione, approvata a maggioranza assoluta dai due rami del parlamento. La consultazione non ha un quorum di validità: se prevarranno i sì, la riforma entrerà in vigore, se vinceranno i no rimarrà valido il testo attuale.
Sarà un voto secco, sì o no, che non consentirà sfumature. Anche se qualcuno propone un impossibile “spacchettamento” dei quesiti, la riforma andrà presa o lasciata in blocco. È una scelta difficile, perché ci sono parti buone e parti meno buone, aspetti che possono piacere o meno, elementi in grado di funzionare bene e altri il cui funzionamento è assai improbabile. Ma la decisione sarà sì o no e ciascuno sceglierà in base alle proprie valutazioni e convinzioni.
Iniziamo dal quadro generale e dagli obiettivi. L’idea di riformare la costituzione, in particolare per ciò che attiene alla forma di governo e ai rapporti tra Stato e Regioni, è tutt’altro che nuova: il cantiere delle riforme costituzionali è aperto da 33 anni, dall’istituzione della “Commissione Bozzi” nel 1983. Sono seguiti vari passaggi e tentativi di riforma, molti dei quali naufragati in parlamento, uno respinto dal referendum nel 2006 e uno andato a buon fine dopo il referendum del 2001.
Questa è però la revisione costituzionale più ambiziosa: va a toccare 45 articoli su 139 (anche se alcune sono modifiche solo formali) e prevede un ampio riassetto del funzionamento della macchina istituzionale. Non vengono invece toccate le disposizioni relative ai diritti (ed è forse un’occasione persa per un loro aggiornamento) né quelle riferite alla loro garanzia, non modificandosi nulla del titolo IV della parte II (sulla magistratura), né dell’art. 100 relativo a Consiglio di Stato e Corte dei conti.
Come si legge nella relazione di accompagnamento iniziale al disegno di legge di riforma, il duplice dichiarato obiettivo è “da una parte, rafforzare l’efficienza dei processi decisionali […] al fine di favorire la stabilità dell’azione di governo e quella rapidità e incisività delle decisioni che costituiscono la premessa indispensabile per agire con successo nel contesto della competizione globale; dall’altra, semplificare e impostare in modo nuovo i rapporti tra i diversi livelli di governo”. Il filo rosso che collega le diverse parti del testo è dunque la volontà di semplificare il processo decisionale, anche, come vedremo, rafforzando gli strumenti di democrazia diretta. Se in astratto non si può che essere d’accordo, le critiche principali si appuntano sull’eccesso di semplificazione che la riforma introdurrebbe, accentrando troppo il potere: dalla periferia al centro e dal parlamento al governo, anche grazie alla nuova legge elettorale tagliata su misura per il sistema disegnato dalla riforma. Bene semplificare ma, dicono i critici, siamo sicuri che togliere le province, il CNEL e di fatto il Senato, e ridurre i poteri delle regioni ordinarie, sia la strada giusta, specie nel quadro del governo di un solo partito?
Infine, ha fatto molto discutere il ruolo attivo del governo nel processo di riforma. L’iniziativa legislativa per la revisione costituzionale è stata del governo, e l’approvazione finale è stata solo della maggioranza, anche se la materia costituzionale andrebbe sottratta all’indirizzo politico di maggioranza, per quanto non sia più stato così negli ultimi tempi. Resta il fatto che il motore politico della riforma è stato il governo (ben più dei partiti che lo sostengono), che senza questa spinta non vi sarebbe stata alcuna riforma e che, arrivando il referendum in corso di legislatura, esso finisce inevitabilmente per avere un impatto politico rilevante. Fa parte del gioco. Basta saperlo e decidere dopo aver approfondito i contenuti. Come ricordava Luigi Einaudi: conoscere per deliberare.
Con i tempi che corrono non sono convinta che accentrare i poteri sia una buona cosa. Poi preferisco il principio di sussidiarietà.
Est una cundierra totu italiana ue nois sardos restamus in sa cunditzione de colonia e cantzellatzione natzionale, ca siat cun sa betza siat cun sa noa de costitutzione, s’rt. 5 ) La Repubblica, unica e indivisibile … est sa peus forma de imperialismu applicadu e faghe de sa costitutzione italiana una de sas peus costitutziones de su mundu.