(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 6 agosto 2016 con il titolo “Decreti legge e rapporti col governo”)
Incidendo profondamente sul sistema parlamentare e sul procedimento legislativo, la riforma costituzionale va inevitabilmente a toccare anche i rapporti tra Parlamento e Governo. Gli aspetti più noti di questo nuovo rapporto riguardano il mantenimento della forma di governo parlamentare e la limitazione del rapporto di fiducia alla sola Camera dei Deputati. Ma sul rapporto tra Parlamento e Governo si interviene anche in tema di legislazione.
Come si sa, infatti, nel corso del tempo è inesorabilmente cresciuta la produzione legislativa del Governo, tanto che ormai le leggi di iniziativa parlamentare sono una parte quasi insignificante della legislazione complessiva, e passano solo quando il governo ha un interesse politico a che la responsabilità sia in capo al Parlamento. Un disegno di legge di iniziativa parlamentare ha attualmente solo lo 0,8% di possibilità di essere approvato. Tra decreti legge, decreti legislativi, disegni di legge di iniziativa governativa e questioni di fiducia, il vero legislatore è da tempo il governo. Perfino sulle riforme costituzionali o elettorali.
La riforma interviene a mettere un po’ di ordine in questo sistema, e lo fa soprattutto attraverso due strumenti, tra loro funzionalmente collegati. Il primo riguarda la limitazione del ricorso ai decreti legge. Il nuovo art. 77 cost. (che passa da 95 a 317 parole) rende assai più difficile adottare i decreti legge. Trasferendo in costituzione quanto già affermato nella legislazione ordinaria (specie la legge 400/1988), in costante giurisprudenza costituzionale, nei messaggi del Presidente della Repubblica e da ultimo in un documento approvato dalla commissione affari costituzionali del Senato, vengono elencate le materie in cui il decreto legge non è possibile, tra cui le leggi elettorali o il ripristino di norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale, e si stabilisce che i decreti debbano essere immediatamente applicabili ed omogenei per materia (oggi nei decreti si trova invece di tutto).
Il secondo strumento è il cd. procedimento a data certa: escluse certe materie (tutte quelle bicamerali, le leggi di bilancio, le ratifiche di trattati, ecc.), il Governo può chiedere alla Camera di esaminare con priorità (la deliberazione finale va adottata entro 70 giorni) i disegni di legge ritenuti “essenziali per l’attuazione del programma di governo” (art. 72 c. 7). Ciò consente di evitare il ricorso a troppi voti di fiducia (il solo governo Renzi è già arrivato a quota 58…), consentendo la trattazione rapida delle leggi “importanti”. In prima lettura si era addirittura previsto il voto bloccato, ossia il potere del governo di mettere in votazione il testo senza possibilità di emendamenti, come previsto in Francia. Il procedimento di approvazione è quello ordinario, e quindi il Senato può chiedere di esaminare il testo e può proporre modifiche, ma i tempi sono dimezzati, così riducendo di fatto i margini di manovra del Parlamento.
Il Governo avrà dunque tre strade per legiferare: approvare decreti legge (ma seguendo criteri assai più stringenti rispetto ad oggi), presentare un disegno di legge ordinario o richiedere l’approvazione a data certa. Può poi chiedere al Parlamento la delega a disciplinare alcune materie in modo organico attraverso decreti legislativi e può porre la questione di fiducia. Tuttavia risulterà assai più conveniente e molto meno rischioso ricorrere al nuovo procedimento a data certa piuttosto che alla fiducia, perché l’eventuale voto contrario alla proposta del governo non implica un obbligo giuridico di dimissioni (a differenza del voto contrario sulla questione di fiducia), e proprio per questo l’espressione utilizzata per il nuovo procedimento (“essenziale per l’attuazione del programma”) rischia di essere fuorviante.
Questi aspetti rappresentano la parte meno contestata della riforma. Uniti ad altre modifiche, come l’introduzione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa (art. 97 e 118 c. 2), essi sembrano in grado di operare una certa razionalizzazione della forma di governo. Del resto sotto questo profilo la riforma non inventa nulla, ma si limita a costituzionalizzare quanto già ampiamente segnalato dalla Corte costituzionale e dagli operatori. Certo si sarebbe potuto cogliere l’occasione per riflettere in modo più generale sull’attività legislativa del Governo e sulla distinzione tra legislazione e amministrazione (l’esperienza tedesca, citata ampiamente e spesso a sproposito nei dibattiti parlamentari e accademici sulla riforma, avrebbe qui qualcosa da dire), ma il legislatore ha scelto una più modesta opera di manutenzione. L’intento è di normalizzare i rapporti tra Governo e Parlamento riportandoli nell’alveo di una più equilibrata forma di governo parlamentare.
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