Così si creano le democrature

(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 23 aprile 2017)

Il referendum turco ha messo un ulteriore mattone per l’edificazione delle democrature. Cioè vie di mezzo tra democrazie e dittature, che sempre più caratterizzano il XXI secolo. È solo l’ultimo tassello di un inquietante mosaico che si va lentamente componendo. Il passaggio immediatamente precedente è forse ancora più interessante, ma è passato sotto silenzio soprattutto in Italia. Si tratta delle recenti elezioni presidenziali in Serbia, vinte al primo turno da Alexandar Vucic con il 55% dei voti. Quelle elezioni dicono molto rispetto ad alcuni fenomeni emblematici dell’attuale momento politico in Europa e non solo.

Primo: la ricerca dell’uomo forte. Vucic era primo ministro e passa direttamente al ruolo di presidente. Era dai tempi di Milošević che il presidente non veniva eletto al primo turno, con la maggioranza assoluta. Non può non scorgersi qualche analogia con le tendenze all’accentramento del potere cui si assiste in modo prepotente “a est di Vienna” da qualche tempo: Russia, repubbliche caucasiche, Turchia, Macedonia, Ungheria, Croazia e altri. Al pari di quanto avviene in molti di questi Paesi, il leader è un politico di lungo corso (già ministro con Milošević), che ha saputo attraversare diverse stagioni politiche e trovarsi al posto giusto nel momento in cui le condizioni erano favorevoli per presentarsi come risposta ai tre principali bersagli dell’autocrazia in tutto il mondo: l’instabilità politica, l’incompetenza delle classi dirigenti e la convinzione che il Paese sia vittima dei “poteri forti” internazionali. Una risposta che passa attraverso la verticalizzazione del potere nelle mani di una persona e più sottilmente attraverso le sue strutture di fiducia rappresentate dal suo partito, ridotto a un circolo di fedelissimi che controlla i gangli del potere. Accade ormai in numerosi Paesi della parte orientale d’Europa e le avvisaglie che possa accadere anche più a ovest ci sono tutte.

Secondo: disaffezione e disinteresse popolare. L’affluenza si è fermata al 54,5%, il che significa che la tendenza al rafforzamento del potere del leader va di pari passo con la scarsa motivazione dell’elettorato. L’investitura di un leader forte (e in molti casi potenzialmente autoritario) avviene democraticamente con il consenso di una minoranza. Se, come in questo caso, vota la metà degli elettori e la metà di quelli che si recano alla urne vota per un candidato, questo ne esce elettoralmente molto forte ma numericamente è sostenuto da un quarto della popolazione.

Terzo: cosa piace agli elettori. Alle elezioni presidenziali serbe i candidati erano ben undici. Il risultato sembra lo spaccato delle tendenze in atto in larga parte d’Europa e del mondo. Al primo posto si piazza un abile animale politico, capace di intercettare molte spinte populiste ma anche di canalizzarle in un tranquillizzante alveo “costituzionale”. Il secondo classificato, sia pure a larga distanza (16%) è l’espressione degli intellettuali filo-europei, l’ex Ombudsman Saša Jankovic, figura popolare e stimata ma che mostra i limiti ormai raggiunti dal consenso per gli intellettuali indipendenti. Ancora più interessante è il terzo posto ottenuto da un comico, Luka Maksimovic, detto Beli, che ha fatto una campagna elettorale a costo zero, con video satirici sulla politica serba e ha comunque ottenuto quasi il 10% dei voti. Tanti, specie in una democrazia giovane e fragile dove è ancora più rischioso scherzare col fuoco.

Quarto: il nazionalismo mascherato. Personaggi noti come l’ultranazionalista Šešelj hanno ottenuto risultati molto scarsi, intorno o sotto il 5%. Šešelj è il leader storico del partito radicale, movimento di estrema destra di cui Vucic fu rappresentante di spicco fino al 2008, quando prese un orientamento più istituzionale. È vero che le persone cambiano, ma in politica molto fa la tattica elettorale. Molti osservatori notano come il nazionalismo di Vucic sia semplicemente diverso da quello degli estremisti, meno radicale e violento, più accettabile per le cancellerie europee e per molti elettori moderati, ma il dato politicamente rilevante è l’appeal del discorso nazionalista fondato sull’orgoglio nazionale.

Guardando a quanto accade altrove si capiscono meglio le tendenze e le linee evolutive dei fenomeni globali. Ciò non significa necessariamente trovare le risposte, e tanto meno quelle giuste. Ma occorre quanto meno riflettere sui fattori che spingono all’affermazione di democrature con crescente favore popolare. Per non cadere dalle nuvole se ce le ritroveremo in casa.

 

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