La Regione e il funerale dello statuto

(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 27 febbraio 2019)

Sarebbe troppo bello se il pasticcio intorno alla composizione della giunta regionale fosse solo una questione di poltrone. In verità, purtroppo, c’è molto di più, e di più serio. Perché il balletto sulle ceneri della Regione è in realtà un balletto sulle ceneri dello statuto di autonomia. E quel che è peggio è che nessuno sembra farci caso.

Sulla Regione le due componenti territoriali portano avanti visioni contrapposte, e non da oggi: i trentini sostengono la necessità di un rafforzamento della stessa (se non come ente politico almeno come sede di collaborazione sovraprovinciale); gli altoatesini sono tendenzialmente favorevoli ad un suo ridimensionamento. La divisione è più territoriale che partitica o etnica: nessuno in Alto Adige, compresi i partiti ‘italiani’, è disposto a fare una battaglia per valorizzare la Regione, mentre in Trentino la questione è prioritaria più o meno per tutti, anche se a malincuore la si sacrifica a vantaggio dell’accordo politico con la SVP. All’improvviso ci si accorge che esiste una disposizione dello statuto, l’art. 36 c. 3, che dispone che la composizione della giunta deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici rappresentati in consiglio (con deroga possibile per i ladini) e che “i vicepresidenti appartengono uno al gruppo linguistico italiano e uno al gruppo linguistico tedesco”. Una giunta rappresentativa delle diverse componenti, non lasciando fuori gli italiani dell’Alto Adige, avrebbe dovuto avere 7 membri. Troppi per la SVP e la sua retorica (ma assai meno pratica) anti-regionale. E troppi anche per le competenze da esercitare. Tecnicamente le alternative non sarebbero mancate (giunta a 5 o a 3), ma avrebbero implicato un presidente stabile, senza la staffetta tra i presidenti provinciali. E così si decide di passare a 6, inserendo un ulteriore assessore (anzi assessora) del gruppo tedesco a scapito dell’assessora in pectore del gruppo italiano dell’Alto Adige. La logica è sempre quella della botte piena e della moglie ubriaca. Ma quando non è proprio possibile, si prende la botte piena e la moglie (in queso caso la fresca sposina leghista in Alto Adige) si arrangi.

Ma il problema non sono certo le poltrone, e nemmeno la rappresentanza in giunta regionale degli italiani dell’Alto Adige, che onestamente non fa proprio alcuna differenza. La vicenda è invece importante per due altri aspetti, assai più seri. Il primo è che al di là delle questioni ideologiche sulla Regione e ciò che simboleggia (l’ancoraggio alla specialità per i trentini, il retaggio della dominazione italiana e il ‘los von Trient’ per la SVP), una dimensione regionale è indispensabile. Non è una questione di competenze attribuite all’ente Regione, ma la necessità di coordinare l’azione politica e amministrativa delle Province. La politica, anche se non lo dice, si coordina perché non se ne può fare a meno: dall’Autobrennero alle principali norme di attuazione, le due Province da sole ottengono molto meno che in coppia. L’amminstrazione viaggia invece in parallelo, e forse una maggiore interazione farebbe bene ad entrambi i territori, non foss’altro che per uno scambio di buone pratiche.

Il secondo aspetto è ancora più importante. La struttura istituzionale della Regione è ancora quella del 1948. Nel tempo sono state svuotate le competenze, ma la scatola è rimasta. Ed è quella pensata per un ente autonomo dalle due Province, con una propria struttura e un proprio indirizzo politico. Non a caso nello statuto la Regione è disciplinata prima delle Province. La “staffetta” tra i presidenti provinciali alla guida della Regione, inventata da Durnwalder e Dellai una quindicina di anni fa, nello statuto non esiste. Politicamente è anche una buona idea, ma giuridicamente è assai problematica, tanto da dover passare formalmente per una crisi di giunta a metà legislatura. Il problema sta proprio nell’avere una forma che non corrisponde alla sostanza, perché alla lunga i nodi vengono al pettine. A una struttura istituzionale inadeguata non si può sempre supplire mettendo toppe. Non serve una rivoluzione, ma una strategia e uno strumentario tecnico per attuarla. Vale per la Regione, ma anche per tanti altri ambiti dello statuto: la cooperazione transfrontaliera, il rapporto politica-amministrazione, i rapporti giunta-consiglio, il ruolo dei comuni, i raccordi con lo Stato, i rapporti con l’Unione europea, solo per citarne alcuni. Ma si continua a non voler fare la necessaria manutenzione allo statuto, o a intervenire in modo disorganico (come si è fatto con la pur lodevole revisione sui diritti dei ladini). Così i nodi diventeranno sempre più grossi e inestricabili. Facciamo pure finta che sia un problema di poltrone. E continuiamo a viaggiare su una macchina a cui non si fa manutenzione. Ma non ci stupiamo poi se accadono incidenti.

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