(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 29 gennaio 2021)
L’ultimo atto del governo prima delle dimissioni è stata l’approvazione del decreto legge sull’organizzazione e il funzionamento del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI). Si è trattato di un intervento volto a porre rimedio alla violazione della Carta Olimpica, che prevede l’autonomia dei comitati olimpici nazionali dai rispettivi governi in ambito decisionale e organizzativo. In assenza di questo intervento, tra pochi giorni il CONI sarebbe stato sospeso dal Comitato olimpico internazionale con diverse pesanti conseguenze, tra cui l’impossibilità per gli atleti italiani di gareggiare alle prossime olimpiadi sotto la bandiera nazionale. Solita soluzione “in zona Cesarini”, verrebbe da dire in gergo sportivo, o “all’italiana” nel linguaggio politico o, con toni macabri ma realistici, in limine mortis, anche dello stesso governo. Figuraccia mondiale evitata in extremis e malcelato quanto ingiustificato orgoglio nazionale perché alla fine, quando tutto sembra perduto, il genio italico se la cava sempre. Dimenticando che, specie in termini di immagine, non conta solo il risultato ma anche il percorso per arrivarci.
È certamente casuale che il decreto sia stato approvato in concomitanza con la giornata della memoria, che celebra la fine dell’Olocausto e ricorda la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione dei cittadini ebrei e di coloro che hanno subito la deportazione. Ma la coincidenza temporale fa emergere lo stridente contrasto tra gli obblighi a cui si adempie e quelli che vengono bellamente ignorati.
Il problema del CONI era la mancanza di autonomia rispetto al governo, a partire dal personale e dall’organizzazione interna. Autonomia prevista da obblighi internazionali assunti dal Paese. Allo stesso modo, nell’ambito della tutela dei diritti fondamentali, esiste un analogo obbligo internazionale assunto dall’Italia: quello di dotarsi di una istituzione nazionale indipendente per il monitoraggio della tutela dei diritti, la loro promozione e il supporto nella definizione delle politiche in questa materia. Oltre ai diversi garanti settoriali (dall’infanzia alle carceri), nazionali e regionali, esiste in Italia un Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR), organismo dipendente dal governo (che ne nomina il direttore e da cui dipende il magro staff), che fa un lavoro meritorio, anche con una certa indipendenza di fatto nei limiti del possibile. Resta tuttavia un organismo non in linea con quanto prescritto dagli obblighi internazionali, a partire dai Principi di Parigi dell’ONU, che dal lontano 1993 prevedono la presenza di autorità nazionali indipendenti per la tutela e la promozione dei diritti fondamentali. Da quasi trent’anni il legislatore non riesce a porre rimedio a questa figuraccia internazionale (quella del CONI è durata due anni, va ricordato): i diritti umani non avranno la visibilità delle Olimpiadi, ma si concederà che non siano meno importanti. Regolarmente, ad ogni rapporto dei diversi attori internazionali, dalle Nazioni Unite al Consiglio d’Europa all’Unione europea, la figuraccia si ripete. E diventa sempre più imbarazzante, anche per lo stesso governo, giustificare l’incapacità di mettere in atto per i diritti fondamentali un’operazione che, per il CONI, si è compiuta in un solo giorno e con un provvedimento di un solo articolo.
All’esame della Commissione affari costituzionali della Camera vi è attualmente una proposta di legge per l’istituzione di un organismo indipendente conforme ai requisiti internazionali. Così come in precedenti legislature, però, rischia di venire affossato dalle contingenze politiche, oltre che da quasi 400 emendamenti, quasi tutti della Lega, con dichiarate finalità ostruzionistiche.
Ci sono tanti modi di portare la bandiera. Uno è la sfilata olimpica, spettacolo emozionante e simbolicamente significativo, che è stato fortunatamente salvato. Ma non riuscire ad associare la bandiera alla tutela dei diritti fondamentali è triste e grave. Speriamo solo che la memoria di questo Paese smetta presto di essere così selettiva. Come l’onore della bandiera.