Crisi SVP: le grinze dello statuto

Autonomy Statute 3

(pubblicato sul quotidiano Alto Adige dell’8 aprile 2022 con il titolo “La crisi SVP e le grinze dello statuto”)

Su ciò che lo scontro interno alla SVP, produrrà sul piano politico si è già detto molto e molto dipenderà dai prossimi passi. Analisi interessanti e acute sono già apparse su queste colonne, con firme autorevoli.

Ciò di cui nessuno sembra però preoccuparsi sono le conseguenze sul piano normativo. Ignorate perché come sempre si tende a ritenere le norme il prodotto della politica, anziché la cornice della stessa. In condizioni, appunto, “normali” è così: si guarda la partita, non le linee che delimitano il campo. Ma in caso di contestazioni, sono quelle linee a risultare fondamentali. Se un fallo è compiuto dentro o fuori dall’area di rigore la differenza c’è, eccome. E la linea è parte del campo, così come la costituzione è necessariamente dentro il raggio d’azione della politica. Ma ne è anche il limite insuperabile.

Nell’ultimo ventennio non sono bastate un paio di riforme costituzionali (più altrettante mancate), copiosa giurisprudenza costituzionale, o altre piccolezze come minacce terroristiche, crisi finanziarie globali, allarmi sulla devastazione climatica, emergenze migratorie, pandemie e guerre, oltre al capovolgimento dell’ordine mondiale in corso, per capire che le linee vanno rifatte. Che sono sbiadite. Che si fa sempre più fatica a vederne i contorni. E così la palla esce di continuo senza che il gioco si fermi, decidono tutto gli arbitri senza un criterio conoscibile, i giocatori accentuano i falli per trarne vantaggi impropri, e la partita diventa inevitabilmente una rissa. Con la gente che urla di tutto da bordo campo, talvolta invadendolo a sua volta: tanto chi vede la linea?

Chi è tanto provinciale da aver fatto spallucce davanti ai terremoti dell’ultimo ventennio abbondante, forse aprirà gli occhi quando finalmente la crisi è solo provinciale. In senso territoriale e in senso valoriale. Ciò che sta accadendo costringe ad interrogarsi su una serie di questioni che lo statuto e diverse norme connesse (come il regolamento del Consiglio provinciale) lasciano aperte, con linee di delimitazione sempre più sbiadite. L’elezione consiliare del Presidente della provincia è il giusto punto di caduta tra l’esigenza di una rappresentanza plurale (anche linguisticamente) e quella della stabilità dei governi? Se lo è (personalmente ritengo che lo sia), si può intervenire piuttosto sul sistema elettorale? E come? I poteri di Presidente, Giunta e Consiglio sono distribuiti in modo appropriato, ossia sono in grado di funzionare in un contesto politico diverso da quello finora conosciuto, con un unico partito che controlla le istituzioni? L’ipotesi di una crisi politica a un anno e mezzo dalla fine della legislatura e l’eventuale elezione di un nuovo Consiglio per un solo anno (perché deve allinearsi a quello di Trento: qui la linea è ancora ben marcata) ripropone la questione regionale – e si ricorderà che qualche tempo fa si era posto il problema dell’eventuale mancato rispetto della “staffetta” regionale, anch’essa fuori dal campo da gioco perché non disciplinata nello statuto. Come deve svolgersi un’eventuale mozione di sfiducia costruttiva? Con votazioni separate (prima sulla sfiducia e poi per l’elezione del nuovo Presidente) o con votazione unica? Se il Consiglio deve esprimersi ad inizio legislatura sul numero di assessori, ha senso che non lo faccia qualora il numero cambi successivamente?

Questioni tecniche e poco appassionanti? Forse, ma certo non poco significative per il governo dell’autonomia. Ma non mancano altri aspetti di maggiore impatto anche per l’osservatore annoiato. Come definire le competenze quando sono ormai tutte trasversali? E come le si può tutelare contro intrusioni da parte del governo centrale (a meno di non accontentarsi di indignarsi per gli “attacchi all’autonomia” e per i più combattivi di invocare la secessione)? Ci sono modi per prevenire ricorsi da parte del Governo contro leggi provinciali, ad esempio controllandole prima?

Ancora annoiati dalle regole e distratti dal gioco? Allora con quali strumenti si affronterà la prossima emergenza, verosimilmente quella climatica, la più difficile di tutte? Ha senso un’autonomia sbandierata come “europea” senza menzione del ruolo dell’UE nella norma fondamentale dell’autonomia provinciale? Ha senso un ancoraggio internazionale senza un ancoraggio europeo? Non è il caso di istituzionalizzare la cooperazione transfrontaliera? Occorre democratizzare le commissioni paritetiche, e come? Possono servire altri strumenti di raccordo con lo Stato, e quali?

L’elenco può continuare a lungo, se solo si considera che mancano (volutamente) le regole legate alla convivenza tra gruppi, comprese l’immigrazione e l’inclusione. Chissà che a qualcuno venga il dubbio che le crisi politiche possono essere anche conseguenza di crisi istituzionali, non solo viceversa. E invece di spazzare la polvere sotto il tappeto si decida di fare le pulizie di primavera. Ah già, naturalmente e come sempre mancano le condizioni politiche. Magari perché oggi piove e non sembra poi tanto primavera. Allora continuiamo a respirare polvere. Sperando che non sia tossica.

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