Questione di vita o di morte

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(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 7 luglio 2016)

Da un Parlamento che produce leggi a raffica ci si aspetterebbe che intervenisse anche sulle questioni più centrali e laceranti che riguardano la vita (e dunque anche il fine vita) delle persone, o almeno che ne dibattesse. Invece purtroppo, nonostante l’attivismo di non pochi parlamentari e associazioni, un impenetrabile muro di gomma si erge sui temi genericamente definiti “etici”, ma anche su questioni riguardanti i diritti fondamentali delle persone e più in generale i grandi orientamenti della società. Per alcuni sono temi “divisivi”, per altri sono tabù di cui è ipocritamente proibito parlare (magari perché “non lo vuole Dio”, del quale alcuni si ergono a interpreti autoproclamati), per altri ancora mancano le condizioni politiche: fatto sta che la discussione, il confronto di idee e la stessa informazione su questioni fondamentali sono drammaticamente assenti dal dibattito pubblico, sia nelle aule parlamentari sia nella società, e restano confinati all’interno di sparuti gruppi (spesso fortemente ideologicizzati) e in pochi circoli intellettuali. La politica però dovrebbe proprio servire a dare una dimensione pubblica ai grandi temi della società, tanto più a quelli che dividono, e se si riduce per debolezza a farsi orientare solo dalle scelte (presuntivamente) popolari (e spesso populiste) o ad astenersi da quasi tutto per non incorrere nell’insulto telematico sempre dietro l’angolo, viene meno al suo compito. È un fenomeno radicato da anni e ormai purtroppo difficilmente reversibile.

Benissimo ha fatto dunque Mauro Marcantoni a riproporre il tema del fine vita. Non si può certo dire che manchi la riflessione sul punto, né l’iniziativa politica (esistono dei disegni di legge, in particolare uno di iniziativa popolare, promosso dall’associazione Coscioni) e nemmeno un certo interesse da parte delle persone, se è vero che i sondaggi (l’ultimo dello scorso novembre relativo alle regioni di nord-est) confermano che il tema è ritenuto importante ed una disciplina dell’eutanasia è vista con favore da una larga maggioranza di cittadini. Questo per smontare l’argomento per cui di certi temi “è meglio non parlare”: il problema delle reazioni “di pancia” e ideologiche dipende molto spesso dalla domanda sbagliata. Come nella vita, a domanda stupida non può che seguire una risposta stupida, mentre è assai più probabile che una domanda intelligente provochi negli interlocutori elaborazioni mentali più sofisticate. Purtroppo capita assai spesso che venga posta prima la domanda stupida, e questa orienta mediaticamente il dibattito polarizzando le posizioni anziché entrare nel merito. Succede per i referenda, ma succede esattamente lo stesso nel parlamento.

Ecco perché sono benvenute tutte le iniziative che consentono di tematizzare argomenti importanti, anzi essenziali per la civiltà di un Paese. Perché se ne discuta in modo ragionato e informato, fuori dagli slogan e nella consapevolezza che – purtroppo – il Parlamento se ne occuperà realmente solo in presenza di un dibattito ampio e diffuso nella società, a partire quindi dai media. Vale per il fine vita, vale per la legalizzazione della cannabis, vale per il riconoscimento di Rom e Sinti, e per diversi altri temi la cui discussione pubblica è sostanzialmente inibita. Certo, il fatto che il Parlamento sia stato praticamente paralizzato per un mese solo per la legge da “minimo sindacale” sulle unioni civili dà ragione ai “realisti” per i quali su argomenti ben più delicati di quello non vi sono le condizioni politiche. Ma allora bisogna iniziare a crearle, altrimenti non vi saranno mai. Ed è dimostrato che quanto più un Paese resta indietro sui diritti, tanto più resta indietro anche sul piano sociale ed economico. Una discussione seria su questi punti, oltre a non essere procrastinabile in una società avanzata, potrebbe valere anche qualche punto di PIL.