La lezione di un referendum

Nouvelle Calédonie

(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 19 dicembre 2021 con il titolo “La lezione di quattro referendum”)

La Nuova Caledonia è uno dei luoghi più distanti dall’Europa. È una collettività francese d’oltremare, retaggio del passato coloniale, in cui da almeno una quarantina d’anni si discute dell’eventualità e dei modi di una possibile indipendenza. Comprensibile a partire dalla distanza dalla madrepatria, circa 17.000 chilometri, e dalla radicale diversità culturale della popolazione locale rispetto ai discendenti degli ex coloni francesi. Certo, ci sono anche molti aspetti che inducono alla prudenza rispetto a una separazione dalla Francia, come la sopravvivenza economica di una collettività ampiamente sussidiata da Parigi, che difficilmente, con i suoi 270.000 abitanti, potrebbe evitare di essere inglobata dall’espansionismo cinese nel Pacifico.

Cosa c’è di interessante a parte il lato esotico? C’è che la scorsa settimana si è tenuto il quarto referendum sull’indipendenza dalla Francia. E già questo è particolare, perché normalmente i referendum indipendentisti non si ripetono, almeno non spesso, e non tante volte (il Québec ne ha svolti due, vedremo se ne sarà concesso un altro alla Scozia). Quattro perché dopo il primo, nel 1987 e stravinto dai contrari all’indipendenza, si è deciso di guidare il processo attraverso il diritto, per evitare che una decisione così importante fosse presa da maggioranze occasionali, o sulla scorta di emozioni momentanee. Con un apposito accordo tra il governo francese e le autorità locali siglato nel 1988 (e approvato in un referendum) si è prevista la legittimità dell’indipendenza dell’isola, attraverso un lungo percorso in più tappe, durate oltre quattro decenni. Nel 1998 fu attribuita alla Nuova Caledonia e alla sua popolazione originaria una maggiore autonomia, da sperimentare per un periodo ventennale. Al termine, la popolazione della collettività d’oltremare avrebbe potuto esercitare il diritto di autodeterminazione attraverso votazioni referendarie. Non una, ma tre, ad intervalli biennali. Così il primo referendum si è tenuto nel 2018, il secondo nel 2020 e il terzo alcuni giorni fa. Sarebbe bastato conseguire la maggioranza in uno solo dei tre referenda per far scattare un ulteriore processo negoziale che avrebbe condotto all’indipendenza dell’isola.

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Grande dibattito. Non solo maquillage

(pubblicato sulla Rivista Il Mulino (https://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:4715) l’8 maggio 2019)

Da molti mesi continua in Francia la protesta dei gilet gialli. Una protesta senza un obiettivo specifico ma espressione di un malcontento generalizzato, manifestato con modalità talvolta violente. Una spia che si è accesa nella società francese e di cui non è facile capire le cause. Così il Presidente Macron ha lanciato l’idea di un grande processo di ascolto della società, attraverso il più imponente esperimento di democrazia partecipativa della storia, il cd. grand débat national (https://granddebat.fr/). Dopo tre mesi di consultazioni e incontri pubblici, questo processo si è concluso, almeno nella parte consultiva. Ed è ora di tirare le prime somme.

I media internazionali hanno dedicato poca attenzione all’iniziativa. Quelli italiani praticamente nessuna. Probabilmente perché i temi dibattuti erano interni alla società e alla politica francese, poco eccitanti (dalla pressione fiscale alle periferie) e dunque poco vendibili sotto il profilo della comunicazione. L’attenzione è stata maggiore in Francia, ma i commenti sono stati prevalentemente critici, se non sarcastici. In molti hanno visto il grand débat come un’operazione simpatia di Macron in vista delle prossime elezioni europee. Altri hanno ironizzato sulla pomposità di un’iniziativa che è servita solo a far emergere problemi già noti. E non poteva mancare chi, con straordinaria originalità, ha segnalato come il grand débat abbia rappresentato l’ennesimo spreco di denaro pubblico. Queste posizioni sono emerse anche nel dibattito parlamentare sul tema, svoltosi prima di Pasqua prima all’Assemblea nazionale (http://www2.assemblee-nationale.fr/15/evenements/2019/le-grand-debat-national-a-l-assemblee-nationale) e poi al Senato (https://www.publicsenat.fr/emission/le-grand-debat-national).

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Grande dibattito, grandi lezioni

(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 7 maggio 2019 con il titolo “La Francia e il “Grand Débat””)

Da molti mesi continua in Francia la protesta dei gilet gialli. Una protesta senza un obiettivo specifico ma espressione di un malcontento generalizzato, manifestato con modalità talvolta violente. Una spia che si è accesa nella società francese e di cui non è facile capire le cause. Così il Presidente Macron ha lanciato l’idea di un grande processo di ascolto della società, attraverso il più imponente esperimento di democrazia partecipativa della storia, il cd. grand débat. Dopo tre mesi di consultazioni e incontri pubblici, questo processo si è concluso, ed è ora di tirare le somme.

I media internazionali hanno dedicato poca attenzione all’iniziativa. Quelli italiani praticamente nessuna. Probabilmente perché i temi dibattuti erano interni alla società e alla politica francese, poco eccitanti (dalla pressione fiscale alle periferie) e dunque poco vendibili sotto il profilo della comunicazione. L’attenzione è stata maggiore in Francia, ma i commenti sono stati prevalentemente critici, se non sarcastici. In molti hanno visto il grand débat come un’operazione simpatia di Macron in vista delle prossime elezioni europee. Altri hanno ironizzato sulla pomposità di un’iniziativa che è servita solo a far emergere problemi già noti. E non poteva mancare chi, con straordinaria originalità, ha segnalato come il grand débat abbia rappresentato l’ennesimo spreco di denaro pubblico.

Già, la critica è sempre facile e a buon mercato. Ma quali potevano essere le alternative? Ignorare le proteste e magari reprimerle con la forza? O pensare di avere già le ricette per risolvere i problemi e imporle grazie all’occasionale maggioranza in Parlamento? I risultati del grand débat sono peraltro estremamente significativi sotto il profilo democratico. I contributi inviati alla piattaforma online sono stati quasi due milioni (1.932.884 per la precisione), cui vanno aggiunte quasi trentamila email e lettere. Gli incontri pubblici a livello locale sono stati oltre diecimila, e più di sedicimila comuni hanno aperto dei cahiers citoyens, procedure per i reclami e le proposte dei cittadini. I temi principali su cui i contributi dei cittadini si sono concentrati sono di grande complessità: fiscalità e spesa pubblica; organizzazione dello stato e dei servizi pubblici; democrazia e cittadinanza; transizione ecologica. Il tutto accessibile online a chiunque, con un prezioso lavoro di sintesi.

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