Pare che tutto si decida il 24 gennaio. La Corte Suprema britannica dovrà stabilire se il Parlamento dovrà votare la notifica del recesso dall’Unione europea. La Corte costituzionale si pronuncerà sulla legge elettorale. La debolezza della politica è ormai tale per cui si attende messianicamente la decisione, e il Parlamento cincischia aspettando il giudizio. Ma nessuno sembra porsi la questione giuridica più elementare, ossia se la Corte sia competente a decidere il caso. Come ricorda qui il sempre ottimo Roberto Bin, la questione non si presta affatto ad un giudizio di costituzionalità. Si tratta di fatto di un ricorso diretto e preventivo, privo di un interesse immediato e della lesione di un diritto. Ma tant’è, l’emergenza non dichiarata in cui da tempo la vita istituzionale si trova finisce per giustificare un intervento in supplenza, stravolgendo l’ordine delle fonti, perché il soggetto legittimato a decidere non lo fa. Era già successo con la sentenza 1/2014 sulla precedente legge elettorale (dove pure l’ammissibilità della questione era maggiormente sostenibile rispetto ad oggi), e succederà stavolta. Certo, una legge che prevede il ballottaggio in un sistema in cui sono due camere a dare la fiducia al governo non è direttamente incostituzionale, ma lo è indirettamente in quanto illogica. Perché nulla può garantire che al ballottaggio vadano alla camera il partito o schieramento A e B e al Senato C e D. Ma per il resto, come potrebbe la Corte inventarsi un sistema elettorale? Sono tempi difficili per lo Stato di diritto, un po’ ovunque. Meglio osservare con il dovuto interesse (e la dovuta apprensione) cosa decideranno i giudici di Londra…
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Intervista: “I sudtirolesi hanno vinto. Non esagerino.”
Francesco Palermo, il clima surriscaldato, i compiti a casa per tutti, «per chi li ha fatti e deve proseguire e chi, in casa sudtirolese, non ha nemmeno iniziato». Senatore del Gruppo per le autonomie e professore di Diritto costituzionale, Palermo non interviene di frequente sui temi «etnici».
Tecnica vs. politica. Le risposte sbagliate
(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 6 novembre 2014)
Tra Juncker e Renzi sono volati gli stracci. Ma al di là degli aspetti politici e mediatici – pur non trascurabili, visto che le dichiarazioni sono giocate anche sul piano del consenso – il duro scontro verbale tra il neopresidente della Commissione europea e il Presidente del Consiglio italiano svela un serio conflitto ideologico sulla concezione della democrazia. Il problema è sul tappeto da tempo, perché in tutto il mondo “democratico” emergono con chiarezza i limiti dei processi decisionali tradizionali, la crisi di legittimazione della rappresentanza, la necessità di introdurre correttivi ma anche la loro ancora scarsa elaborazione.