(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 12 gennaio 2021)
Si chiude con ignominia il pessimo quadriennio di Trump alla Casa Bianca. Dopo una lunga serie di picconate al decoro istituzionale prima ancora che alla costituzione, a confronto delle quali quelle italiche di cossighiana memoria sembrano affettuosi buffetti, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’assalto al Congresso da parte di folcloristici fanatici, particolarmente sensibili alle sparate presidenziali.
Si è trattato a ben vedere della prevedibile conseguenza della retorica populista in salsa americana. Il populismo è una sineddoche: significa scambiare una parte per il tutto. Una parte di popolo, attraverso un leader, ritiene (più o meno consapevolmente) di rappresentare il popolo intero. O di doverlo fare per preservare ciò che ritiene essere il fondamento della società. Un fondamento maschile, bianco e religioso (in occidente), che diventa maschile, barbuto e religioso in molti Paesi islamici, e via sfumando a seconda del contesto. La salsa americana aggiunge un pizzico di giusnaturalismo a tutto questo: se il potere è ingiusto, è un obbligo ribellarsi. Anche per questo la costituzione garantisce il diritto di portare armi. Poco importa che le elezioni siano state regolari, come accertato da molti tribunali federali pieni di giudici repubblicani, fino alla Corte Suprema. Se l’auto-proclamato interprete del volere del popolo sostiene che siano illegittime, allora lo sono ed è doveroso ribellarsi. Un sistema chiuso nella sua logica perversa.
Non solo è una buona notizia che Trump se ne vada. La speranza è anche che quest’ultima vergognosa pagina di un mandato disastroso apra gli occhi anche a chi, in America e altrove, non ha voluto vedere quanto accadeva. Ex malo bonum, verrebbe da dire.