(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 28 luglio 2015 col titolo “Barack Obama fra i diritti e i dati del PIL”)
Durante la sua prima campagna elettorale nel 2008 e nei primi mesi della sua presidenza, Barack Obama ha fatto la storia con i suoi discorsi appassionati e retoricamente perfetti. Tanto da fargli guadagnare un premio Nobel sulla fiducia, nel 2009, quando ancora non aveva dimostrato le sue doti di presidente, ma solo quelle di oratore.
Poi col tempo l’entusiasmo mondiale è un po’ scemato, le difficoltà di un lavoro straordinariamente difficile come quello dell’uomo più potente del mondo hanno offuscato l’immagine del presidente, nessuno gli ha fatto sconti come è normale che sia nell’agone politico. Il potere è certamente ingrato, anche se i successi di Obama sono innegabili: distensione internazionale dall’Iran a Cuba, una riforma sanitaria che nessun altro era riuscito a condurre in porto, grandi conquiste nei diritti civili, e non ultimo una ripresa economica spettacolare del gigante americano.
Ma l’altro giorno il grande oratore è tornato alle origini, e ha tenuto un discorso tra i più difficili e complessi della sua presidenza. Un discorso secco, non elettorale, pronunciato in Kenya, davanti al presidente ospitante e agli investitori africani e internazionali, tra l’altro nella patria di suo padre. Accanto al presidente Kenyatta, che guida un Paese in cui l’omosessualità è un reato punito con la reclusione fino a quattordici anni (una chicca: la sanzione vale solo per gli uomini, forse perché l’omosessualità femminile è inconcepibile per il legislatore kenyano), gli ha detto in faccia, senza giri di parole, che la discriminazione basata su dati biologici è inaccettabile.
Lo ha detto da afro-americano e da chi in patria questa discriminazione basata sul colore della pelle ha subito e combattuto, e di cui più di ogni altro rappresenta la catarsi. Detto dal primo presidente afro-americano degli Stati Uniti, l’effetto è stato deflagrante. Anche se non va dimenticato che Obama è tanto nero quanto bianco, ma il suo essere considerato e considerarsi nero è frutto della concezione razzista che implica una presunzione di supremazia del bianco, e che dunque considera implicitamente nero chiunque non sia di “pura razza” bianca, ma non viceversa.