Di simboli, storicizzazione e semafori

(pubblicato su http://salto.bz/article/05012016/di-simboli-storicizzazione-e-semafori il 6 gennaio 2016)

Digressione semiseria per apprezzare il lavoro al Monumento alla Vittoria durante la sosta ad un semaforo pedonale di Roma

Un piccolo giro per Roma basta ad un occhio sensibile ai simboli di regime per uscirne pesto. Dai grandi monumenti di epoca fascista alle piccole targhe nascoste, un po’ ovunque ci sono relitti intrisi di retorica risorgimentale o fascista. Ma per vederli (se piccoli) o notarli (se grandi) occorre appunto un occhio sensibile e allenato. Perché la stragrande maggioranza delle persone non ci fa caso. La metabolizzazione dei retaggi nazionalistici è proceduta al pari di quella relativa ad altre e certamente più apprezzabili vestigia storiche. Si passa sopra le scritte DVX del foro italico come si transita accanto ad una chiesa.

È un peccato, perché si perdono delle perle talvolta esilaranti, come questa targa commemorativa di Cesare Battisti in Piazza Venezia datata due mesi dopo la sua morte nel 1916 (pardon, MCMXVI): “la disperata austriaca ferocia volle offesi e puniti in Cesare Battisti la stirpe, la fede, l’amore della patria e della libertà e nella cieca barbarie del supplizio se’ condannò all’obbrobrio del mondo lui votando all’ammirazione dei secoli”).

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Non può che venire in mente Flaiano: è una cosa grave ma non seria. Si può non ridere di fronte a queste parole, nonostante il dramma di quei momenti, le tragedie umane, l’orrore di quegli avvenimenti accaduti giusto un secolo fa? L’occhio allenato è causa di vergogna, perché costringe a porsi la domanda se sia peggio ridere nonostante le tragedie o non ridere di fronte a lapidi del genere. Qualsiasi scelta lascia un po’ di amaro in bocca.

Così come si passa indifferenti accanto a questi simboli, è un peccato non fermarsi in ogni chiesa ad ammirarne i tesori d’arte. Semplicemente non c’è il tempo di farlo. Per questo stesso motivo la gente si disinteressa dei simboli. Li ha di fatto storicizzati senza bisogno di interventi esterni di storicizzazione. Ma un occhio allenato no, li nota per forza, per lui non c’è la storicizzazione. Ecco che inevitabilmente si schiudono i tre scenari ben noti di fronte al problema di che fare della simbologia di regimi da cui distanziarsi.

Il primo è non fare niente, riderci sopra e sperare che quei luoghi non diventino ritrovi di nostalgici – gli stadi questi rischi li corrono molto: questa è la pavimentazione del viale che porta allo stadio Olimpico

stadio olimpico

Fregarsene potrebbe essere una buona soluzione, ed è appunto ciò che fanno quasi tutti. Spesso la migliore risposta alle ideologie cieche è l’indifferenza o, meglio ancora, una sonora risata. Ma il problema è la presenza di alcuni occhi sensibili e allenati. In qualche caso anche allenati a strumentalizzare non tanto i simboli quanto soprattutto la loro sopravvivenza con finalità di prosecuzione delle stesse divisioni che quei regimi alimentavano. No, far finta di niente non va bene.

La seconda possibilità è cancellarli. Su questo gli animi (e gli storici) si dividono da sempre. L’unica certezza è che più tempo è passato più diventa controproducente togliere i simboli dei regimi che furono, perché si attira l’attenzione su qualcosa che non la merita più, e si ricompattano le fila di coloro che, come tutti gli esaltati, si identificano in un simbolo. Peggio ancora se si tratta di simboli di regimi criminali. L’iconoclastia verso le simbologie dei regimi sconfitti è, se non sempre giustificabile, ampiamente comprensibile nell’immediatezza degli eventi. Per contro, più il tempo passa più questi simboli acquistano un significato diverso. Chi guarda Ötzi fatica a vedere in lui un uomo, anche se lo era. E il Colosseo non era meno celebrativo e “di regime” dello stadio Olimpico, ma oggi lo si vede giustamente solo come monumento patrimonio dell’umanità.

Ovviamente è una questione di sensibilità e di magnitudine. Nel mio caso, la targa commemorativa di Cesare Battisti suscita ilarità, ma la zona dello stadio, con i continui richiami al Duce, non la trovo affatto divertente, pur riconoscendone il pregio storico e architettonico.

La terza possibilità è la storicizzazione. A ben vedere è l’unica opzione nei confronti dei “relitti” che siano sopravvissuti ai cambi di regime. Sul come farlo naturalmente ci si può dividere, e anche sul giudizio rispetto alla qualità e all’opportunità dell’intervento di storicizzazione. Il rischio è ad esempio di sconfinare in una retorica uguale e contraria a quella dei regimi che si intendono spiegare e contestualizzare. Ma certo occorre provarci. Chissà, magari a Roma la storicizzazione di alcuni monumenti sarebbe meno difficoltosa che a Bolzano. Anche per questo va apprezzato il lavoro, ottimo e competente, fatto al Monumento alla Vittoria.

Ah, la cosa più importante! Questo testo non ha alcuna pretesa, né intende comunicare un messaggio. È la semplice trascrizione di una riflessione compiuta camminando per Roma. Come sempre di fretta, ma fermato da un semaforo e costretto a notare la targa per Cesare Battisti. Un pensiero come tanti, durato quanto il rosso di un semaforo. E pubblicato solo perché rivolto a lettori i cui occhi sono generalmente molto allenati, forse troppo. E chissà, magari da condividere un giorno con chi a queste cose non dà alcun peso.