Dalle maggioranze alle riforme

(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 10 novembre 2018)

Uno dei paradossi della politica è che le riforme si fanno quasi solo quando c’è una crisi, ma quando c’è una crisi è spesso troppo tardi per fare le riforme che l’avrebbero evitata.

Nella legislatura provinciale appena conclusa, i processi di riforma statutaria sono stati avviati perché vi è stata una sia pur parziale consapevolezza dell’obsolescenza di alcuni istituti dell’autonomia, o della loro scarsa tenuta. Tuttavia, in un contesto economicamente florido e politicamente confortevole (maggioranze omogenee a Trento e Bolzano, solida alleanza col centrosinistra al governo a Roma, indiscusso supporto alle e delle famiglie politiche dominanti in Europa), non si è messa la necessaria convinzione nel portare avanti la riforma.

Ora i nodi iniziano a venire al pettine. Sul piano economico, fortunatamente, va ancora tutto piuttosto bene. Sul piano politico invece le cose sono più complicate, e i buoni rapporti tra rappresentanti locali e nazionali non sono più tanto scontati. Come si vede dalla vertenza Autobrennero, che il governo gestirebbe se non con maggiore competenza almeno con minore conflittualità se il Movimento 5 Stelle non fosse all’opposizione sia a Trento che a Bolzano. Ci si inizia così ad accorgere che garanzie istituzionali più solide sarebbero assai utili di fronte al venir meno dei buoni uffici politici, e che questi, per quanto sempre da ricercare, possono rivelarsi non sufficienti a gestire partite assai importanti e delicate. In questo contesto, qualcuno inizierà a pentirsi di avere prima avviato e poi snobbato la revisione dello statuto quando le condizioni politiche erano più favorevoli.

Forse però non è ancora troppo tardi. Forse si può ancora evitare di dover attendere crisi più gravi. Anzi, la fine della comoda omogeneità politica tra Trento, Bolzano, Roma e Bruxelles può rappresentare l’occasione propizia per uscire dalla pigrizia delle relazioni amichevoli. E può aiutare a ragionare di riforme prima che si presenti una crisi seria. Occupandosi di politica e non solo di maggioranze.

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Trentino: ddl di riforma dello statuto

foto 2011“In relazione alle polemiche che si sono sviluppate in Trentino sul ddl di riforma dello statuto, da me sottoscritto, che prevede il trasferimento della competenza in materia di enti locali dalla Regione alle Province, e la cui discussione è stata sospesa in Consiglio regionale, mi preme di precisare quanto segue:
1) Il ddl l’ho sottoscritto perché lo condivido pienamente nel merito. Chiunque conosca la materia sa che da tempo la legislazione è differenziata per le due province.
2) Nel metodo, questa soluzione era emersa come ipotesi maggioritaria nel gruppo di lavoro per la riforma del sistema delle competenze insediato dalle due giunte provinciali, ed è contenuta anche nel documento che entrambe le Province hanno consegnato al Presidente Renzi in occasione della sua recente visita in regione. Non è pertanto certamente un “blitz”.
3) Non mi interessano le polemiche politiche, meno ancora quelle tra partiti e peggio di tutte quelle tra territori che devono il più possibile marciare insieme. Le riforme si fanno insieme, anche a costo di non farle. Pertanto occorre attendere che sia chiarito in via negoziale col governo il destino del documento sulle competenze predisposto dal gruppo di lavoro, che in Trentino si consolidi la discussione e che a Bolzano la convenzione per la riforma inizi i propri lavori. Nel frattempo ritiro la mia firma dal ddl in questione e la rimetterò quando il tema sarà frutto di un percorso condiviso”.
Sen Francesco Palermo

Articolo di Lorenzo Dellai su L’Alto Adige di oggi (15/04/2015)

AUTOGOVERNO NON FATENE CARICATURE
di Lorenzo Dellai

Era chiaro da tempo che la discussione sulle Regioni a Statuto Speciale non si sarebbe spenta con l’approvazione in prima lettura della modifica del Titolo V della Costituzione. Questo passaggio era atteso come occasione per “normalizzare” le Speciali e il fatto che ciò non sia avvenuto pienamente ha lasciato l’amaro in bocca a non pochi. D’altra parte, se l’aria che tira è quella del superamento del regionalismo, ritenuto una sorta di pasticcio in salsa italiana, si comprende bene che l’attacco alle Regioni Speciali assume il senso di un mantra. Curioso, peraltro, che a recitare tale mantra siano alcuni Presidenti di Regione, come da ultimo quello della Toscana. Non si accorgono che, così, tagliano il rametto ormai sottile sul quale stanno seduti. Ma, si sa, cosa c’è di meglio, nei momenti di difficoltà, magari di fronte ad opinioni pubbliche non proprio entusiaste, di evocare un “nemico esterno”? Come in tutti i casi di questo genere, da copione, la strategia si fonda su una caricatura della realtà. Il Presidente della Toscana parla di fondi statali che sarebbero trasferiti a Bolzano e a Trento, in aggiunta al “cento per cento” dei gettiti trattenuti, a motivo dei “rapporti con l’Austria”. Ho guidato la Provincia Autonoma di Trento e, a turno, la Regione, per quattordici anni, ma di questi fondi non ho mai sentito parlare. E non è neppure vero che a Trento e Bolzano rimanga il cento per cento del gettito. Nella realtà dei fatti (basta prendere i dati oggettivi), dopo le manovre di finanza pubblica degli ultimi anni, le risorse delle Province autonome disponibili per gli interventi a favore del territorio sono pari a circa il 60% del gettito fiscale prodotto dal sistema economico, dovendo le Province riversare la differenza a favore della solidarietà nazionale e al riequilibrio della finanza statale. È tanto? È poco? È giusto? Per rispondere a questa domanda, non basta fare il confronto con i bilanci delle Regioni ordinarie, perché è come sommare patate con carote e pretendere di avere un risultato comprensibile. Occorre infatti tenere conto delle competenze che, in un territorio autonomo, sono a carico dei poteri locali e di quelle che invece restano a carico dello Stato. A Trento e Bolzano, con il sessanta per cento (di fatto) del gettito locale, cioè la quota devoluta all’Autonomia, si finanzia pressochè la totalità delle spese che nelle regioni ordinarie sono a carico dello Stato. Qualche esempio: gli insegnanti di ogni ordine e grado (che sono dipendenti delle Province); il funzionamento dell’Università di Trento, benché sia statale; con il 2016 anche tutto il personale degli uffici giudiziari, esclusi i magistrati e così via. Dunque, come valutare se esiste o meno un criterio di equità generale, a fronte di sistemi istituzionali e finanziari così radicalmente diversi? L’unico sistema non fondato su dicerie e pregiudizi é quello basato sulla valutazione del residuo fiscale. Vale a dire: fatto 100 il gettito che lo Stato incassa in un territorio, quanto viene restituito a quel territorio sotto qualsiasi forma (devoluzione di gettiti e trasferimenti agli enti del territorio, servizi e prestazioni direttamente gestite dallo Stato sul territorio, nonché quota parte riferita al territorio delle spese generali dello Stato non localizzabili, compresi gli interessi sul debito pubblico) e quanto invece rimane allo Stato per la perequazione tra i territori e la solidarietà nazionale? Se si avesse cura di analizzare i dati in questo senso, ovviamente tenendo conto delle ragionevoli variabili connesse alle caratteristiche strutturali dei territori, si scoprirebbero informazioni di una certa importanza, utili per mettere in discussione consolidate credenze. Ad esempio si scoprirebbe che Trento e Bolzano hanno un residuo fiscale a favore dello Stato vicino ormai alla media dei territori del Nord Italia. Dato questo, peraltro, che, in forza delle recenti intese raggiunte con il Governo, tenderà ad allinearsi pienamente nel giro di poco tempo. Dove sta allora la vera differenza? É evidente: sta nel fatto che a Trento e Bolzano la quota di gettito restituito al territorio é quasi totalmente gestita dalle Province Autonome, titolari delle competenze e delle funzioni di governo, anche delegate, e figura dunque nei rispettivi bilanci. Mentre nelle Regioni ordinarie, tale quota di gettito, pur comunque restituita al territorio, figura in parte non secondaria nei bilanci dello Stato perché riferita a competenze e funzioni gestite dallo Stato. In conclusione, dovrebbe essere interesse di tutti cercare di valorizzare il principio dell’autogoverno territoriale lì dove le circostanze storiche, ma anche l’impegno responsabile della comunità e la lungimiranza della politica, ne hanno determinato un più forte radicamento, piuttosto che fare la figura dei polli di Renzo (al singolare, naturalmente) rispetto a poteri centrali sempre più tentati di dare il colpo di grazia a ciò che ormai viene ritenuto il fastidioso pasticcio delle Regioni. E non sarà – aggiungo – la sola tendenza ad accorparle che rilancerà le Regioni italiane: piuttosto sarà la faticosa e paziente ripresa di un “senso” dell’autonomia e dell’autogoverno responsabile. Materia da lavoro comune, non da ridicoli bisticci.

Lorenzo Dellai
Onorevole della Repubblica e presidente della Commissione dei Dodici

Regione e regole

foto 2011(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 21 gennaio 2014 col titolo “La Regione e le regole d’ingaggio”)

In occasione della formazione della nuova Giunta regionale si è riacceso il dibattito sul ruolo della Regione. Comunque la si pensi, si tratta di un tema non eludibile in vista della prospettata – e quanto mai necessaria – riforma dello statuto di autonomia.

Nel merito si registrano posizioni diverse e piuttosto polarizzate, in gran parte influenzate da complessi storici non ancora metabolizzati. Semplificando: per molti in Alto Adige la Regione è ancora legata al “los von Trient”, mentre in Trentino è vista come la cornice istituzionale di garanzia dell’autonomia, da preservare tanto più in un momento di attacchi alla specialità tanto forti quanto superficiali.

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“Il carcere scoppia di poveracci, nuove leggi su droga e immigrati”

Il senatore Palermo in visita a Spini: mancano i soldi per far funzionare le videocamere. “L’amnistia è una sconfitta oggi necessaria, ma serve il coraggio di rivedere le norme penali”

di Chiara Bert (Il Trentino)

spini

“Le nostre carceri scoppiano di poveracci e la società non è diventata più sicura”. Il senatore altoatesino Francesco Palermo lo dice dopo quattro ore di visita al carcere di Spini di Gardolo, ieri mattina, dove insieme all’avvocato Fabio Valcanover, storico esponente radicale, ha incontrato detenuti e agenti della polizia penitenziaria, in un momento dove il tema carceri è al centro del dibattito politico con la proposta di amnistia ed indulto lanciata dal Presidente della Repubblica Napolitano.

Palermo di penitenziari ne ha visti altri e quello di Spini, ammette, “è di gran lunga migliore”. Struttura nuova, inaugurata meno di due anni fa, sovraffollamento minimale (270 detenuti su una capienza di 240). Il senatore è stato particolarmente impressionato dal braccio femminile: “Non ne avevo mai visto uno e la differenza con il braccio maschile è abissale, perché le detenute sono molto meno rispetto alla capienza e perché tutto è più pulito, curato”. Il problema – avverte – è che “il carcere nuovo e moderno sta andando in peggio piuttosto che in meglio”. La struttura è infatti molto tecnologica, il che consente di risparmiare personale in primis per l’attività di sorveglianza dei detenuti, ma richiede al contempo un’alta manutenzione per tenere in funzione gli apparecchi. E non ci sono i soldi per farlo. “La Provincia – spiega Palermo – aveva un contratto di tre anni dall’attivazione, ora il contratto è scaduto e il ministero, che dovrebbe pagare, non ha le risorse”. Risultato: meno videocamere in funzione, meno possibilità di attività fuori dalle celle. “Manca personale e mancano progetti di reinserimento, quelli che l’ex direttrice aveva promesso nell’ultima visita di qualche anno fa”, denuncia l’avvocato Valcanover.

L’altro problema, di Spini come delle altre carceri, riguarda l’alta percentuale di detenuti per reati legati alla droga e all’immigrazione, di cui la stragrande maggioranza stranieri (sono il 72%). Dati che per Palermo impongono una riflessione profonda sulle norme penali in materia di di droga e immigrazione, “leggi che creano situazioni di degrado e delinquenza e alla fine non rendono la società meno pericolosa, perché in carcere entrano gli anelli deboli della catena”.

Dietro le sbarre si vive una situazione esplosiva gravissima, per far fronte alla quale, insiste il senatore, “provvedimenti di clemenza diventano necessari ma non bastano”. “L’amnistia è sempre un po’ una sconfitta ma la scelta oggi è tra due strade: costruire nuove carceri, ammesso che ci siano i soldi, e continuare su una logica repressiva che non funziona, oppure uscire da questa logica e ciò significa, nell’emergenza, anche l’amnistia o l’indulto”. “Ma se questi provvedimenti servono solo a svuotare un po’ le carceri, come nel 2006, tra qualche anno saremo punto e a capo. Se invece preludono a iniziative più strutturali, allora hanno un senso”. Ma sulla possibilità che questo processo si metta in moto, Palermo si mostra scettico: “Fino ad adesso abbiamo risposto con una logica protezionistica sulle droghe e falsamente repressiva sull’immigrazione, il risultato è che le carceri scoppiano di poveracci e la società non è più sicura. Sono temi poco popolari e a maggior ragione una grande coalizione come quella che oggi governa dovrebbe avere la forza di affrontare l’impopolarità, invece figuriamoci”.

Quanto al fatto che Berlusconi possa beneficiare di amnistia e indulto, motivo del duro attacco dei Cinque stelle a Napolitano, il senatore altoatesino ricorda che “sarà il governo a scrivere il contenuto del provvedimento, dunque a indicare i reati amnistiati o indultati. Il ministro ha detto che non riguarderanno Berlusconi, bisognerà fidarsi. Certo – conclude – è triste che in Italia di qualunque tema si parli, si leghi a Berlusconi”.